Quell’Angelo bianco
che corre…in paradiso
Mi è capitato altre volte di ricordare, con rimpianti e struggente malessere, uno dei migliori talenti del calcio olbiese.
Angelo Caocci, classe 1949, che a soli 26 anni, ha interrotto la sua corsa in un campo di allenamento di Venafro lasciando, oltre ad un profondo vuoto, anche tanti interrogativi e dubbi non ancora svelati.
Ricordo che in una delle prime radio locali (RCS che trasmetteva dalla casa dei Davì, in via Corridoni) utilizzai, per rimpiangerlo, i versi di Cardarelli, quelli della Ode Alla Morte: “morire sì, non essere aggrediti dalla morte!”.
La perdita di un coetaneo, “fedale” come si dice nella nostra lingua, mi ha segnato per sempre.
Non ho scordato niente dei momenti belli vissuti con lui e grazie a lui.
Era il mio idolo.
Bisticciai, anche pubblicamente, con zio Palleddu (allenatore dei Bianchi) che pur avendolo fatto esordire, non si fidava e lo aveva pressoché dimenticato.
Lui era uno dei prodotti del Tavolara.
Uno dei tanti, forse non il migliore, certamente il più completo, come giocatore e come uomo.
C’è chi dice che il “conte”, coccella, il fratello più grande, fosse tecnicamente anche più forte.
Certamente Angelo era un trascinatore, aveva una grandissima personalità ed una classe che avrebbe meritato palcoscenici più rappresentativi.
Ma lui era, soprattutto, il nostro Angelo Bianco.
Fece due campionati strepitosi, quelli dell’era De Petrillo, il ‘70-71 ed ’71-72. Il suo score complessivo è di 76 gare e di 7 gol.
Eravamo amici, e ricordo il suo esordio alla prima del campionato del 1969-70, contro lo Spezia (che poi quattro anni dopo lo inserì nella sua Rosa).
Nel secondo tempo rileva Selleri che aveva avuto un piccolo infortunio.
Fu subito amore tra lui e la gente.
Quel giorno non fece grandi cose, ma partecipò alla rete di Fazzi, quella del momentaneo vantaggio.
Ma soprattutto, da quel momento non smise mai di correre.
Come quel bellissimo 31 gennaio 1971, quando al 56’, da centrocampo, imbastisce una azione ed una volata che lo porta al di là del muro di Lonardi, portiere del grande Genoa di Turone, Bittolo, Perotti e Speggiorin.
Quel giorno, per quel gol della vittoria, dagli spalti e dai rimorchi di autocarri parcheggiati al Nespoli, per consentire un maggior afflusso di pubblico, il grido di Olè Olbia Olè arrivò davvero fino al cielo.
Fu e rimane uno dei momenti più felici della storia sportiva dell’Olbia, un momento di gloria meritato per questo figlio di terranoa, cresciuto alle case popolari di Via Campidano e diventato la bandiera ed il segno distintivo di una generazione di talenti cui mister De Petrillo dette una chanche: Ciuddina, Trascheddu, Baluba, Manueddu, Marcellino, Varchetta, Piccione, Pippo, Nanni… Talenti che, assieme ad altri hanno fatto le storie e la storia di questa società.
Ma lui era, comunque diverso, era il più talentuoso tra tutti.
E quando, nell’estate tremenda del ’76 il suo passo si fermò, ci fu un sussulto nella nostra terra ed un boato sugli spalti del… paradiso.
Laddove il suo veloce incedere diverte ancora tutti gli appassionati del pallone.
Perché l’Angelo Bianco ha trovato il suo posto eterno fra le braccia di Dio.
Con Amore eterno, Tore.