Siamo  Olbiesi,

Siamo TUTTI Alessandro Marino!

Chissà perché le parole del Presidente, non mi suonano nuove.
Che l’Olbia e, ancor di più, Olbia più in generale, siano sempre state allenate a “fare da sole” non è né una novità, né un fatto episodico. Visto che parliamo del nostro sport più popolare e della nostra storia, mi viene in mente la stupenda “filippica di Giovanni Cossu quando, per descrivere il “senso” delle perenni incursioni dei nostri “invasori” scrisse:
Benvenuti , ospiti i ogni contrada in terra olbiense. Qui veramente si conosce una terra ospitale e generosa. Qui si viene con l’ambizione della conquista e mai si va via a mani vuote. Vengano i forti, i deboli e gli incerti… per tutti c’è sempre una fetta di torta conquista o donata in lauto obolo.”

A dire il vero lui si riferiva alla sonora, storica e, per fortuna, unica “doppia manita” con il Foggia, del 4 ottobre 1953 (0-10 per loro).
Ma il senso del “lamento” di Giovanni, rimane il medesimo anche nella esperienza sociale di tutti i giorni.
Olbia è il porto dove, si viene per fare affari, per conquistare, sfruttare, arraffare al meglio le poche o molte risorse locali di cui disponiamo. Si viene per diventare o rimanere ricchi, sempre più ricchi. Che si tratti di trasportare legname, carbone o bestiame come nei secoli trascorsi, o di trasportare uomini e cose per il Turismo di oggi. Olbia è sempre lì, pronta a capire, adeguarsi, disponibile a sopportare tutto, perché, oltre a quel minimo “obolo” del suo tornaconto personale, è comunque una terra popolata di gente pacifica ed ospitale.

Quando lavoravo a Sassari in provincia, scoprii, senza meravigliarmi più di tanto, che ogni 100 euro che l’ente pubblico spendeva per il territorio, appena 6-7% prendeva la via della Gallura. Mi fece specie che persino tutte le bande musicali della provincia prendessero un contributo e che la nostra oltreché che suonare bene, venisse… suonata ancora meglio, dalla “disattenzione” pubblica.
Ma torniamo al tema sportivo.
Una volta Putzu provocò i gestori della “res pubblica” affrontando il campionato con la scritta provocatoria: “Siamo Zingari”. Detto che quella scritta non aveva alcuna intenzione “razzista”, nei confronti di chi, per tradizione e cultura, ha tra i suoi valori quello di vivere “senza patria, né confini”, qualche piccolo effetto la “trovata” comunicativa la ebbe. Visto che per qualche tempo, poco e scarno, nelle nostre maglie tornammo ad avere anche i “Vini di Sardegna” o il più generico “Terra Sarda”.
Da tempo, invece siamo tornati ad essere Apolidi.
Questo per il Pubblico!
E il Privato?
Peggio, mi sento!
Tutti, ma proprio tutti conosciamo la strategica importanza della città di Lecce e del suo porto, per i trasporti marittimi nazionali, comunitari ed internazionali. Per cui come potremmo sorprenderci se la Moby Lines di Vincenzo Onorato sponsorizza cospicuamente e da tempo le maglie giallorosse? In fondo lui, a Noi ospitali uomini e donne di campagna che ci deve? A Noi che gli abbiamo regalato il monopolio dei nostri miseri attracchi “regionali”, offrendogli la Sinergest, senza neppure riceve un piatto di lenticchie? E cosa potrà contare il fatto che anche la Tirrenia, un tempo sua concorrente e da sempre finanziata dalla linea (Olbia-Civitavecchia) più produttiva di tutta Italia, sia diventata sua senza alcuna resistenza da parte dei gestori della Nostra Res Pubblica?
Quindi nessuna meraviglia se, anche con lui ed anche grazie al lui le nostre maglie rimarranno intonse.
E che dire della Cerasarda e del suo trasloco (necessario?) sulle maglie del Bologna? Tutto sicuramente lecito, sicuramente spiegabile con le alchimie del marketing societario, ma assolutamente ingeneroso per questa terra, per la sua storia e per la nostra gente.
Eppoi, insisto: Qatar? Meridiana? As Do Mar? Porto Rotondo? per parlare di quelle grandissime.
O Nieddu? Dettori? Aziende turistiche, trasporti o produzioni locali (Cantine, Mitilicultura che siano)… insomma il nostro tessuto sociale. Qualche spicciolo, qualche obolo, ma nella sostanza vera: ASSENTE.
Ed ad appena venti chilometri da noi, i nostri cugini arzachenesi si stanno “svenando” per realizzare e mantenere un sogno come il nostro. Dovremmo riflettere.
Io non mi chiedo cosa farà Marino, in attesa di Godot.
Mi chiedo cosa siamo disposti a fare noi perché Godot rispetti il suo impegno e la smetta, con la scusa di celebrare il teatro dell’assurdo, di romperci le palle, da oltre sessantacinque anni, nel costringerci a riflettere sul perché della sua… Assenza.
Tore Zappadu