Forse nella vita il denaro non è tutto. Invece nel calcio il soldo è Tutto e di Più.
Non ero deciso se scrivere o meno questo pezzo, ma la foto triste del mio amico “Ciabi” in gialloblu, mi ha convinto del contrario.
Ed ho pensato, un po’ ad altri amici. Per esempio ai dirigenti della mia Olbia e non solo dell’Olbia.
Mi sono chiesto come si sentano, in frangenti come questo, tutti Quelli che mettono cuore e faccia senza percepire un euro, anzi rimettendocene in vari modi.
E lo fanno solo per passione, perché la squadretta della loro città o del loro quartiere non debba morire come le tante, come le troppe che in questi stramaledetti decenni di crisi ci hanno lasciato le penne.
Un po’ ho pensato anche a me che, oltre ad amare questa disciplina, adoro anche questa maglia e la sua storia. A me che la seguo con la passione ed il fervore di un bambino di nove anni che tendendo la mano di suo padre arrivò al comunale (allora così si chiamava) per vedere la prima gara ufficiale un Olbia-Romulea finita 0-0. Era il 27 settembre del 1959, ed io entrai in un mondo magico senza sapere niente di contratti, di biglietti che si pagano, di soldi e di affari. Conobbi solo ciò che, al mio paese di origine (Pattada), avevo appena potuto abbozzare: una palla e tanti giovani più o meno dotati che si battono lealmente per superarsi.
Perdonatemi se, dopo tanti lustri, sono rimasto così e non mi faccio pagare un euro di “rimborso” per le sette/otto ore che passo ogni giorno, di fronte al pc per rendere più professionale e rendicontato il presente di questa storia, oppure per le ore passate a guardare tutti gli allenamenti, spesso unico e mai disattento osservatore, delle fatiche e delle gioie di questi ragazzi.
Per tutto questo la partenza di un amico come “Ciabi” che sceglie, di sicuro legittimamente, di guadagnare di più in onori e in soldi, mi lascia triste. Qui non gli mancava certo la legittimazione del suo talento, l’affetto e l’amore dei compagni, della società e della gente della sua terra; nè la “giusta mercede”. Ha scelto altro, ha scelto di più, nonostante tutti i tentativi fatti dai miei amici dirigenti di spiegargli il senso di un “progetto” fatto di sogni o, forse, solo di illusioni, ma tutti costruiti con gratuità e passione.
Con lui, personalmente, ho affrontato in silenzio, senza interferire, i giorni dei suoi dubbi, ed alla fine ho preso atto della sua scelta. Me lo impone, quantomeno, la vetustà e quel po’ si esperienza umana nel tempo acquisita. Ma sono e resto triste.
Anche perché so che, come avrebbe detto quel saggio di mio nonno, alla fine Fabietto “Ciabi” ha scelto di diventare cardinale a Roma, invece di continuare a fare il parroco in campagna. A lui, umanamente, gli auguro di realizzare quel che sogna. Ma non so davvero se Fabio diventerà mai Papa, perché Viterbo da sempre considerata la città che ha dato i natali a più pontefici di ogni altra città al mondo, ha davvero tanti pretendenti.
A me, ed a tutti noi, rimane il compito di raccontare le gesta di altri ragazzi che parlino il nostro stesso idioma, non solo con la bocca ma con il cuore, la passione e la condivisione.
Di sicuro, non staremo senza parroco.
Tore