Sembrava che quel campionato, IV serie del 1958-59, fosse nato sotto buoni auspici.
La solida Olbia dell’anno precedente, con Kovacs in panchina, era rimasta, quantomeno nell’ossatura, sufficientemente solida.
È vero che erano partiti, per futuri di varie coloriture, Mario Tiddia, Matteo Rinaldi, Antonio Bertoia ma i loro sostituti (Piero Incerti, Zambotto, Lamberto Pazzi, Ottavio Cossu e via discorrendo) sono comunque rincalzi più che validi. Una sola importante novità si è materializzata in panchina, dove siede una gloria indomita dell’Olbia epica del periodo post-bellico: Paoletto Cocciu che, ancora ogni tanto, gioca anche in porta che è il suo ruolo naturale.
Si parte bene, con 2 vittorie di fila, una sconfitta con la Nuorese ed una vittoria fuori casa in quel di Tempio.
“Per la verità- racconta Tonino Conte, terzino rampante di quelle stagioni- se c’era una caratteristica in quella prima fase del campionato è che noi non ci allenavamo per niente.”
Nei ricordi molte cose svaniscono, ma su una cosa tutti i testimoni di allora concordano: per evitare sguardi indiscreti, Cocciu portava i ragazzi fuori dal Comunale, in campagna, lungo il fiume che, nella foce che costeggia il comunale, alimenta la baia delle case popolari di Su Tappaiu.
Al riparo da osservatori ed eventuali critici faceva semplicemente “camminare” i ragazzi, qualche volta qualche piccola corsettina.
Per il resto… il Niente.
Solo a “ciavanare” sulla riva del fiume, con una accortezza obbligatoria, pena sanzioni. Prima dell’imbrunire tutti gli “atleti” dovevano bagnarsi la maglietta, con l’acqua del fiume. L’alibi del sudore virtuale…per chiunque li vedesse rientrare.
Evidentemente questa “virtuale preparazione estemporanea” scontava, alla prova dei fatti, ogni domenica il tremendo verdetto del campo.
Dalla quinta di campionato, con lo 0-2 di Sassari, si inaugura un filotto di 5 sconfitte brucianti: 2 gol all’attivo e 10 subiti. È vero che poco dopo, vengono due pareggi ed una natalizia vittoria con il Perugia, ma la sonora scoppola di Terni, fa precipitare la situazione.
Soprattutto per come è maturata quella trasferta.
Infatti mister “Pieddu” Cocciu, forse per rimanere nel clima fluviale, ha rotto i “ponti” con la parte giovane della squadra.
Ogni tanto, come detto, sostituisce lui il portiere Doriano, con alterne fortune e con i mugugni della rosa, ma soprattutto mette fuori squadra proprio il contestatore più acceso, nonché giovane terzino di vaglia, Tonino Conte.
La definitiva rottura, dopo la sconfitta di Terni si concretizza prima della partenza per Avezzano dove è in calendario la 15ª giornata di campionato.
All’epoca le convocazioni scritte su foglio, venivano affisse nella bacheca del Bar Nardino al corso.
E quel sabato, 10 gennaio Conte scopre di non essere nella rosa dei convocati.
Viene comunque preavvertito e prontamente richiamato nel gruppo che prende la nave, da un dirigente e dal capitano, di grande carisma, Dioniso Giagnoni :”tu vieni con noi, anche se l’allenatore non vuole.”
Nella cittadina abruzzese Cocciu, negli spogliatoti dell’allora Campo dei Marsi, legge la formazione e consegna le maglie, ovviamente senza tener conto di… Conte. Ed è allora che Giagnoni, il capitano riconosciuto e rispettato da tutti, mette in chiaro le cose con la “guida tecnica” “consigliando perentoriamente” l’allenatore ad assegnare la maglia di terzino al titolare del gruppo.
E così avviene, con l’allenatore che soccombe alla volontà dei giocatori.
La squadra, in una giornata di freddo polare e di neve ai bordi del campo, porta a casa uno 0-0 che interrompe il lungo digiuno di punti.
Di sicuro, anche grazie a Conte, dopo tanto tempo si tiene la porta inviolata. rivitalizzata, quantomeno in difesa.
Cocciu non la manda giù per niente bene e protesta vivacemente col dirigente accompagnatore.
Ma la risposta che riceve è semplicemente il benservito e l’avviso che, nella via del ritorno, a Roma la società prenderà in consegna Lajos Kovacs cui affiderà, dopo la promettente sesta posizione conquistata l’anno precedente, per la seconda volta le sorti della pericolante Olbia per completare la stagione per non retrocedere.
Nelle 18 partite finali, l’Olbia ebbe un rendimento dignitoso che comunque garanti la salvezza: 6 vittorie (tra cui esaltanti il 3-0 al Tempio ed il 4-0 al Gubbio), 6 pareggi e 6 sconfitte.
E così, il grande olimpionico ungherese, dette nuovo impulso alla fortune pedatorie dei bianchi. Anche se… pure con lui, qualche “problemino” di carattere psicologico quel bravo e rispettato allenatore l’aveva creato nella testa e nelle abitudini di quei giovani virgulti della nostra terra.
Il fatto è che Kovacs era uno scaramantico della malora ed aveva il suo “manuale” indiscutibile con cui si doveva esorcizzare la “sfiga”:
- I giocatori dovevano sempre giocare con la maglia sporca, comunque mai lavata di fino, perché altrimenti portava male. In una gara Egidio Podda ha rischiato di rimanere nello spogliatoio perché si era presentato con la maglia davvero bianca e pulita.
- Capitan Dionisio tra le sue funzioni aveva il compito di portare, sotto la maglietta un chiodo arrugginito, utile per procacciarsi la buona sorte. Durante la settimana tutti i ragazzi avevano l’impegno di trovare e conservare un bottone d’osso con quattro buchi, quelli con due buchi inaccettabili e si rischiava l’esclusione dagli 11. Ogni singolo bottone doveva venir strofinato sul “chiodo mastro” di Giagnoni e, solo con il rispetto di tutta la procedura, il rito propiziatorio garantiva la sua efficacia.
Sta di fatto che anche rispettando il rituale, le sconfitte o i pari striminziti arrivavano ugualmente. Tra quei ragazzi e la tifoseria olbiese, quel che non è andato perduto del grande allenatore è il nostalgico e intenerito ricordo e la stima di quanti furono costretti a subirne le eccentricità, più che i rituali e le sue fobie scaramantiche.
Tore Zappadu